venerdì 1 novembre 2013

coltivare un sogno in laguna? Se il Sindaco ce lo permettesse

Da anni ormai si parla di ampliare le coltivazioni, non limitandoci al nostro orticello della Giudecca. Dal 2009, anno in cui abbiamo iniziato a dissodare il terreno, abbiamo stretto relazioni con altri soggetti locali (vedi l'Associazione Laguna nel Bicchiere, le Vigne ritrovate con cui condividiamo lo spazio delle Zitelle) e non. Da subito abbiamo iniziato a fare rete (Prove Tecniche di Comunità Urbana del Buon Vivere e Architettura Seminata), per trovare situazioni simili alla nostra in Italia e all'estero.
Da quando abbiamo iniziato sono nate nuove situazioni di autoproduzione collettiva (l'orto dei Marziani, quello del Lido, Pan di Zenzero, Teatro Marinoni e altri che forse non conosciamo) e reti fra coltivatori e consumatori (il mercatino bio di Piazzale Roma, la rete Slow Food di Isole in Rete, il recente Genuino Clandestino).
La situazione è in continua crescita, nonostante la crisi e forse a causa della crisi; c'è voglia di ripartire dalle cose fondamentali e la terra e la sua coltivazione sono proprio una di queste.
Si è comunque spesso presi dallo sconforto, soprattutto per chi abita in una città che fa dell'effimero la sua unica fonte di sostentamento; le attività cosiddette essenziali se ne vanno dal centro storico per lasciare spazio a vetrini e maschere in un'inarrestabile marcia verso l'azzeramento della vita reale, delle persone che potrebbero legarsi al territorio con attività che non sfruttano l'ambiente ma lo rinnovano e lo arricchiscono.
Pensare all'agricoltura, o alla coltivazione in genere come "ri-partenza" potrebbe far sorridere, ma da qualche parte dovremmo pur cominciare. Ma come poterlo fare? I problemi, per chi vuole iniziare dal niente sono insormontabili. L'accesso alla terra in primis, nessuno affitta, i pochi che vendono lo fanno a più di dieci euro al metro quadro che equivalgono a più di 100.000 euro all'ettaro (e con un ettaro solo non vivi). Se riesci ad avere la terra non riesci comunque ad avere un introito decente che ti permetta di soddisfare i bisogni che questa società ti impone (non per niente le merci vengono quasi tutte importate da Paesi dove la manodopera viene pagata un euro all'ora o poco più). La soluzione ci potrebbe venire dal passato o da popoli che ancora praticano un'agricoltura di sussistenza, produrre per se stessi e per lo scambio e vendere il surplus; in questo caso il contadino dovrebbe avere almeno una piccola fattoria dove poter vivere e autoprodursi la maggior parte del cibo che gli serve. Questo tipo di azienda (che non sarebbe un'azienda), sarebbe il più antieconomico ed antisociale esempio possibile in una società che basa tutto sugli scambi internazionali, sulla moneta virtuale e sulla creazione di continui nuovi bisogni (chiaramente non essenziali). Nel nostro territorio sarebbe forse possibile avviare alcuni luoghi sperimentali, pochi naturalmente, delle specie di nuove colonie, un po' quelli che erano i villaggi dei Veneti e degli Euganei prima dell'arrivo dei Romani, costruiti con materiali locali, veloci da attivare, e veloci da smantellare (non lascerebbero traccia perché anche in caso di abbandono tutto ritornerebbe alla natura), me la immagino proprio la Sovrintendenza che approva un villaggio agricolo sperimentale costruito in canna palustre e argilla in un'isola abbandonata della laguna dove magari c'era in progetto un bel resort o un parco dei divertimenti. Eppure da una breve analisi del territorio della Laguna di Venezia (una semplice occhiata dal satellite), si vedono un sacco di spazi inutilizzati, aree verdi che aspettano solo di essere ricoltivate, come ai tempi i cui la terra, ma anche l'acqua della laguna avevano un senso, un legame con la comunità che la viveva quotidianamente. Ma chi tornerebbe alla terra in questo modo? Perché mai le istituzioni, le associazioni di categoria, dovrebbero appoggiare un tipo di vita così sovversiva, così anacronistica? Forse i figli e i nipoti dei consumisti stanno cercando altre strade, non sono ancora chiari gli obiettivi ma le sensazioni portano a scegliere alternative a quella che sembra una via senza uscita, senza possibilità di ritorno, la distruzione certa di tutto quello che ci circonda. Si dice che la tecnologia ci salverà, troverà delle soluzioni per farci uscire dal vincolo che abbiamo col petrolio e con la chimica, ma aspettarsi una soluzione dalla tecnologia significa aver abdicato al potere delle macchine, significa non credere più alle potenzialità della nostra umanità. La laguna avrebbe un vantaggio rispetto ad altri luoghi (eccetto alcuni sparuti casi in montagna), gran parte del suo territorio non è mai stato privatizzato, o è del Demanio, o fa parte di qualche Bene Comune che viene indebitamente occupato da qualche nobile o industriale del NordEst. La causa in corso fra Demanio e questi occupanti abusivi delle valli da pesca è ancora in corso, ma non se ne verrà a capo fino a quando l'accusatore (il Demanio ma anche il Comune nella persona del suo Sindaco) è anche difensore di alcuni degli accusati (lo studio legale dello stesso Sindaco); in un Paese civile un conflitto di interessi simili farebbe urlare allo scandalo e obbligherebbe il Sindaco alle dimissioni, in Italia è la prassi. Forse allora non resta che la ri-occupazione di terre da cui sono stati estromessi i legittimi abitanti?  E' in atto nel mondo un ampio movimento di contadini senza terra, se ne parla soprattutto nel Sud del mondo, se ne sta parlando, sotto voce, anche al Nord.

Nessun commento:

Posta un commento